La “dzenta valaye” si risveglia sotto choc. Uno dei settori caratterizzanti l’economia e il territorio valdostani, come quello dell’allevamento bovino, viene attraversato da un terremoto che lo mina alla base e ne mette in pericolo una credibilità conquistata negli anni. In sintesi, per arrivare a produrre più latte, ad avere reine più forti, per ottenere più soldi dall’ente pubblico preoccupato di tutelare una razza in via di estinzione e un settore fragile, cruciale per la montagna e l’equilibrio ambientale, si è arrivati ad aggirare la legge e a porre sul mercato prodotti pericolosi per il consumatore.
Ovviamente, tutte le accuse dovranno essere confermate.
Un vero e proprio letamaio
Associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni della Regione per ottenere i contributi per la salvaguardia della razza valdostana; maltrattamento e uccisione di animali; abuso d’ufficio nell’esercizio di professione veterinaria; frode nella produzione della Fontina, violandone il disciplinare; commercio di prodotti alimentari pericolosi per la salute umana; frode nell’esercizio del commercio; acquisto in Svizzera di sperma bovino facendolo poi passare per seme valdostano. Sono i gravissimi capi di accusa che pendono su tredici tra allevatori valdostani, veterinari e responsabili di un laboratorio di analisi, dettagliati in oltre cento pagine dell’ordinanza firmata dal GIP Maurizio D’Abrusco.
Il blitz notturno: camion di fieno ungherese, fiale come “paillettes”
Le radici dell’indagine sono dello scorso anno, quando gli allevatori compatti reagirono ad una serie di chiusure di stalle. Le analisi per la ricerca della tubercolosi bovina erano risultate positive in molti casi: in via cautelativa veniva disposta la chiusura temporanea della stalla e l’abbattimento del capo infetto. Le controanalisi sulle carcasse risultarono però sempre negative, e il polverone delle polemiche alzatesi sembrava aver celato tutti i problemi.
I Carabinieri del NAS e gli agenti del Corpo forestale valdostano, coordinati dal PM Pasquale Longarini, hanno però continuato ad indagare, e tutto è culminato in un blitz notturno, terminato alle 4 del mattino di martedì 10 novembre. Prima a Gressan, poi a Jovençan, poi a Gignod, e ancora a macchia di leopardo su tutto il territorio regionale e anche fuori Valle. I NAS hanno prelevato campioni di latte da analizzare nel distributore automatico dell’azienda La Borettaz, hanno fermato un TIR proveniente da fuori Valle – alcuni arrivavano addirittura dall’Ungheria – e diretto all’azienda di Eliseo Duclos di Gignod, poi finito in carcere a Brissogne. I militari hanno agito in cerca di prove e di documenti, anche sulla base di intercettazioni telefoniche: in una registrazione, le provette con il seme bovino venivano descritte come “paillettes” di cui liberarsi prima del blitz. Tutte le intercettazioni riguardano telefonate in patois, il dialetto locale.
Veterinari compiacenti e un laboratorio di analisi di Carmagnola, secondo gli atti di accusa, correggevano gli esiti di analisi e visite per permettere a questo meccanismo perverso di proseguire indisturbato.
I fermati: c’è anche il presidente dell’AREV. Gli indagati sono oltre 60
Sono state disposte le misure di fermo in carcere per due allevatori, Angelo Cabraz, 37 anni di Jovençan, e Eliseo Duclos, 53 anni di Gignod, e undici arresti domiciliari: Gabriele Viérin (61), presidente dell’AREV, l’associazione degli allevatori valdostani, e Fabrizio Bisson (31 anni), contitolari dell’azienda agricola La Borettaz di Gressan e recenti vincitori della finale regionale della Bataille des reines con la bovina Cobra; i nomi proseguono con Antonio Albisetti, 43 anni di Montjovet; Emilio Cabraz, 67 anni di Jovençan; Marisa Cheillon, 46 anni di Gignod; Angelo Letey, 50 anni di Valpelline; Elio Louisetti, 51 anni di Bionaz; c’è poi Rosella Badino, 50 anni di Pralormo (Torino), titolare del laboratorio di analisi La.Eco.Vet. di Carmagnola (Asti); infine, i veterinari Davide Mila, 49 anni di Morgex; Claudio Trocello, 54 anni di Aosta e Massimo Volget, 38 anni di Brissogne.
Violazioni al disciplinare della Fontina, bovine morte e rimpiazzate, seme e bovine svizzere
L’atto di accusa, 123 pagine in cui D’Abrusco dettaglia una serie impressionante di violazioni di legge e di comportamenti scorretti, smaschera una rete il cui obiettivo era quello di aggirare la legge, ottenendo i finanziamenti regionali per la tutela della razza bovina valdostana. Secondo l’accusa, molti allevatori utilizzavano seme di tori svizzeri per la fecondazione delle vacche valdostane, o addirittura venivano condotte, attraverso i valichi alpini, bovine svizzere di razza D’Hérens, molto simili a quelle della razza pezzata nera valdostana ma più aggressive, utilizzate per rimpiazzare bovine autoctone morte o malate, e per creare “super-reine” per i combattimenti.
Un altro filone dell’inchiesta riguarda il fieno, spesso proveniente da fuori Valle e utilizzato per la produzione della Fontina nonostante il disciplinare per la Denominazione di origine protetta è molto rigido a riguardo.
Infine, è stato smascherato un vero e proprio sistema di doping bovino, con la somministrazione di farmaci a base di ormoni per migliorare la resa nei combattimenti e la produzione di latte.
Il dettaglio delle accuse
Ecco le accuse firmate dal GIP:
1. fecondazione di animali con semi non autoctoni illecitamente importati dalla Svizzera;
2. approvvigionamento di bovini sul territorio elvetico e successiva importazione clandestina degli stessi;
3. alimentazione di bovine utilizzate per la produzione di latte destinato alla produzione di Fontina Dop con fieno non autoctono, in contrasto con i dettami previsti dal disciplinare di produzione della Fontina Dop;
4. produzione e immissione in commercio di Fontina Dop non corrispondenti alle norme del disciplinare di produzione;
5. produzione e immissione in commercio di Fontina Dop e altri derivati con latte proveniente da bovini malati, nonché da allevamenti con qualifica di ufficialmente indenni revocata e/o sospesa per tubercolosi o brucellosi, o da allevamenti non autorizzati alla commercializzazione del latte;
6. produzione e immissione in commercio di prodotti alimentari, nella fattispecie Fontina Dop, formaggio valdostano e zangolato, pericolosi per la salute pubblica;
7. vendita di foraggio utilizzato per alimentazione di bovine da latte destinato alla produzione di Fontina Dop in assenza delle previste documentazioni commerciali e al di fuori di qualunque controllo;
8. importazione clandestina di specialità medicinali a base di ormoni a uso veterinario illecitamente somministrati ai capi bovini;
9. alterazione del risultato della prova tubercolinica;
10. illecita inoculazione del vaccino Buck 19 (antitubercolare) il cui utilizzo in Valle d’Aosta è stato vietato da diversi anni, che determina alle analisi di laboratorio titoli positivi alla brucellosi;
11. produzione di latte non di qualità con illecita percezione di contributi riconosciuti invece per la produzione del latte di qualità;
12. ricorso a un canale parallelo di esami ematici al fine di accertare preventivamente ossia prima dei controlli e delle operazioni di risanamento ufficiale la positività alla tubercolosi e alla brucellosi di bovine valdostane per il tramite di un laboratorio e adottare così una delle strategie seguenti: mantenere il bovino in allevamento con il rischio di perdere la qualifica di “indenne” e il contributo che ne consegue; avviare il bovino alla macellazione; venderlo sottacendo la patologia; alterare il risultato della prova tubercolinica.
I precedenti spingono alla cautela
L’ultimo fatto di cronaca riguardante due allevatori condotti in carcere a Brissogne è quello dei coniugi Napoleone Cunéaz e Clelia Brédy di Valpelline, accusati di riduzione in schiavitù di un collaboratore di origine marocchina. I due sono poi stati prosciolti da ogni accusa, dopo essere balzati tra le cronache nazionali e aver fatto parlare di sé a lungo.
Vedremo nei prossimi mesi se le tante imputazioni verranno confermate o se tutto si ridurrà nuovamente in una bolla di sapone… molto rumorosa. Anche se, questa volta, il dettaglio delle accuse e le misure cautelari prese fanno pensare ad una vicenda ben più grave.
ma il Consorzio Produttori Fontina che fa/dice?? come acquirente di varie forme di fontina dop (??) presso un caseificio (che ho poi scoperto coinvolto) del Consorzio denuncio che è da luglio che cerco info presso il Consorzio stesso senza ricevere alcun cenno di riscontro alle mie e-mail… mi dite come/dove divulgare questa cosa che mi pare inaccettabile… grazie